Politiche attive, superamento del decreto dignità, formazione specializzata: secondo Stefano Magliole, marketing manager di Samsic HR Italia, è quello che serve per l’inserimento e il reinserimento professionale di ragazze e ragazzi all’uscita dalla pandemia

All’indomani dell’approvazione del decreto sostegni bis, che fra 40 miliardi di aiuti prevede anche diverse misure destinate ai giovani (le agevolazioni per l’acquisto della prima casa, ma anche l’istituzione delle cosiddette “Scuole dei mestieri”), torna a porsi il tema di come favorire il reinserimento di ragazzi e ragazze nel mondo del lavoro ora che la ripresa post-Covid comincia a intravedersi.

La pandemia ha impattato sui tassi occupazionali delle giovani generazioni molto più che su quelli di altre categorie: a fine dicembre 2020, la disoccupazione giovanile è tornata a sfiorare il 30 per cento, in aumento di 1,3 punti rispetto allo stesso mese del 2019. Peggio dell’Italia, soltanto Spagna e Grecia.

In realtà, a ben guardare, il Covid-19 non ha fatto che esasperare una situazione che era complessa già da prima: ai molti Neet, giovani che non studiano e non lavorano, che nel nostro Paese erano già i più numerosi d’Europa, si accosta un cronico e profondo skill mismatch, ovvero uno scollamento fra le competenze che i giovani possono offrire alla fine del proprio percorso di studi e le abilità che le aziende, e più in generale il mercato del lavoro, richiedono. «Il tema è sfaccettato, perché non comprende solo un mismatch legato al passaggio scuola-lavoro, ma anche quello legato ai cambi di percorsi professionali, e persino uno di genere, perché nei mestieri del futuro si trovano già oggi molti più uomini che donne», spiega Stefano Magliole, Marketing Manager di Samsic HR Italia, società di sviluppo e gestione di risorse umane.

E sui due campi centrali per la “Next Generation” europea, il digitale l’ambiente, l’Italia ancora arranca. Spiega Magliole: «Alla spinta verso l’innovazione fa da contraltare, fra gli stessi cittadini, una mancata competenza informatica, nel rapporto ad esempio con la pubblica amministrazione. Mentre, dall’altra parte, le aspirazioni green delle aziende spesso si esauriscono in mere strategie di marketing, o comunque in iniziative isolate che faticano a essere messe a sistema».

Su cosa puntare allora per il rilancio, pensando soprattutto a coloro che nel mercato del lavoro entrano per la prima volta? Per contrastare e almeno in parte risolvere alcuni di questi problemi, sin dall’inizio del suo mandato il premier Mario Draghi ha fatto cenno agli Istituti tecnici superiori (Its). Questi, in veste di percorsi a metà fra studi superiori e universitari, hanno il vantaggio di offrire una componente molto pratica – sia perché prevedono che una parte della formazione avvenga direttamente in azienda, sia perché coinvolgono docenti che spesso provengono dalle aziende stesse – e sono strettamente connessi al mercato e ai suoi bisogni. Orientati soprattutto a temi come l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile e la tecnologia in vari ambiti, dal made in Italy ai beni culturali alla comunicazione, sono percorsi di formazione avanguardistici che offrono sbocchi occupazionali consistenti: l’80 per cento di chi li frequenta, infatti, trova lavoro entro un anno.

«I dati provenienti dagli Its dimostrano che, laddove c’è un’analisi che parte dalle necessità, si riesce a colmare il mismatch, e per questo rappresentano uno strumento che dimostra concretezza ed efficacia», spiega Magliole. Eppure, gli Its coinvolgono ancora poche persone rispetto al loro potenziale. Se in Germania i percorsi specialistici di questo tipo arrivano a coinvolgere 800mila ragazzi ogni anno, in Italia ci si ferma ancora a 20mila. «Io credo ci sia un problema di territorialità: in Italia abbiamo 150 Its, ma mentre in regioni come la Lombardia ce ne sono una ventina, in Campania e Sicilia ci si ferma a nove: la mancata omogeneità dell’offerta è un problema. Dall’altra parte, poi, c’è evidentemente un problema di comunicazione: quanti ragazzi sono a conoscenza di questa possibilità e sanno come intraprendere il percorso? Con i fondi del Pnrr si dovrebbe almeno in parte risolvere questo problema, ma sicuramente serve un racconto un po’ più ampio del percorso di studio», puntualizza Magliole.

Diventa indispensabile, a monte, un sistema di orientamento efficace. «Questo è un tema che riguarda sì i giovani che guardano al mondo del lavoro, ma anche ciascuno di noi: è qualcosa che deve accompagnare lungo tutta la vita lavorativa», spiega Magliole. «Il mercato continua a cambiare e a evolvere, e, anche quando si sia trovata una direzione, non vuol dire che debba essere quella definitiva. Perciò l’orientamento serve a capire dove sono oggi e a mappare ciò che c’è intorno a me, perché quella strada io la possa realizzare, o inventare se non esiste».

In questo senso, anche le agenzie del lavoro private possono fare la loro parte. «Le società come IG Samsic si prestano a interpretare i bisogni del mercato e a trasformarli in competenze, possono studiare le esigenze di alcuni territori e studiare cosa proporre in termini di percorsi professionalizzanti, per cui possono e devono avere un ruolo attivo», puntualizza l’esperto.

Interi pacchetti di soluzioni, dall’orientamento alla formazione all’inserimento nel mondo del lavoro, possono essere costruiti per aiutare ragazzi e aziende a “trovarsi”. Anche attraverso tirocini, apprendistati e contratti in somministrazione. «Questi rappresentano delle soluzioni importanti, perché permettono anche degli affiancamenti formativi. Si tratta di trovare delle soluzioni che consentono di portare avanti entrambi questi aspetti: crescita delle competenze da un lato, e dall’altro la possibilità di mettersi alla prova in maniera concreta, trasformando le nozioni in reale valore per l’azienda», spiega ancora Magliole.

Principi che valgono quanto mai ora, con la ripartenza post pandemica, con settori che vanno a picco e altri in rapida ascesa e trasformazione. «Si tratta di una situazione nuova per chiunque. Da un lato, lì dove il mercato è paralizzato da politiche passive messe in atto per via del Covid, superato il blocco dei licenziamenti bisognerà fare in modo che le persone possano essere accompagnate verso nuovi percorsi. Dall’altro, i giovani si trovano nella situazione di entrare in un mercato del lavoro molto diverso rispetto a quello che avevano immaginato. Essere preparati per il mercato del lavoro del prossimo futuro è difficile, per questo le politiche attive rivestono e rivestiranno sempre più un ruolo fondamentale nel nostro sistema di crescita e sviluppo», spiega Magliole.

Anche qui, però, a livello territoriale l’articolazione nelle diverse regioni è molto diseguale: se in Lombardia, ad esempio, la Dote Unica Lavoro permette un percorso di affiancamentoformazione inserimento nel mondo del lavoro, in altre regioni i percorsi spesso non sono così strutturati. Per cui sarebbe opportuno «istituire una cabina di regia in cui si possa cooperare tra pubblico e privato per costruire dei percorsi attinenti al mercato del lavoro reale», spiega l’esperto.

Infine, servirà mettere mano anche alle norme. «I fatti dimostrano che il decreto dignità ha reso molto più complicata la flessibilità nel mondo del lavoro, un termine che non significa precarietà, ma capacità di adattarsi ai cambiamenti», dice Magliole. «Oggi questa caratteristica è indispensabile: se io assumo qualcuno, lo formo e mi trovo bene, ho tutto l’interesse a fare sì che possa continuare a lavorare, e investirò su questa persona. Ma il decreto dignità ha posto condizioni estremamente rigide e complesse da soddisfare, che aprono spazio a contenziosi, e la causale ha ridotto drasticamente le opportunità: questo non tutela il lavoratore, ma gli toglie la possibilità di fare cose. Tante aziende hanno rinunciato ad assumere perché il decreto dignità non consentiva di fare determinate scelte».

Così, nel tentativo di contrastare la precarietà, si è depressa la flessibilità. Eppure, guardando al mercato del lavoro futuro, bisognerebbe ricordare che i due termini non significano la stessa cosa. «Soprattutto se parliamo di giovani, che devono avere modo di mettersi sul mercato, di provare, di sperimentare, questa possibilità deve esserci. Le opportunità cambianoarrivanosi costruiscono: questa apertura è ciò di cui avremmo bisogno», conclude Magliole.

Articolo originariamente pubblicato su Linkiesta.