«Occorre che le istituzioni incentivino giovani e meno giovani a fare impresa», dice Giuseppe Zingale, general manager della divisione welfare di Samsic HR Italia. «Il rilancio dell’economia passa più da qui che dai contributi a fondo perduto»

I disoccupati aumentano. E mentre le stime di crescita migliorano, anche grazie alle prospettive del Recovery Plan, un ruolo di non poco conto è giocato dalle misure per l’autoimprenditorialità. Un elemento che potrebbe contribuire a superare (almeno in parte) diversi scogli, a partire proprio da quello dei licenziamenti.

Il Recovery Plan ha previsto interventi a sostegno dell’iniziativa individuale, soprattutto a favore delle donne e dei giovani: 400 milioni sono destinati all’imprenditorialità femminile, mentre «1,8 miliardi vanno ad accrescere la competitività delle imprese turistiche, di cui una parte importante è destinata a incentivare la creazione di nuove imprese da parte di chi ha meno di 35 anni», si legge nel piano.

Gli effetti di queste azioni non saranno immediatamente misurabili, ma l’obiettivo è quello di superare una situazione che, alla lunga, rischia di restare stagnante. La situazione di crisi potrebbe infatti ridurre quella propensione al rischio imprenditoriale, finendo per rendere ancora più immobile il mercato del lavoro italiano. «Il periodo è complicato, complicatissimo, e il blocco dei licenziamenti non fa che peggiorare la situazione. Se le aziende hanno già deciso di licenziare, questo peggiora lo stato anche del lavoratore, perché lo tiene fermo. Lo sblocco dei licenziamenti deve invece avvenire velocemente, per consentire all’azienda di riprendersi e anche di recuperare posti di lavoro. Dall’altra parte, occorre che le istituzioni incentivino giovani e meno giovani a fare impresa», spiega Giuseppe Zingale, general manager della Divisione Welfare di Samsic HR Italia, società di sviluppo e gestione di risorse umane.

La stessa Samsic HR Italia è scesa in campo per offrire più strumenti possibili. E nella Divisione Welfare offre programmi specifici di sostegno a coloro che vogliono mettersi in proprio. «Come Samsic HR Italia abbiamo fatto delle riflessioni: essendo una struttura accreditata per le politiche attive, riteniamo che gli attori come noi debbano diventare un punto di riferimento sia per chi cerca lavoro sia per chi vuole fare impresa. Il legislatore ha messo a disposizione degli strumenti, dalla Dote Unica Lavoro al Fondo per il Microcredito, fino alla Fondazione Welfare Ambrosiana, strutture che fanno da riferimento per chi vuole fare impresa e con cui noi siamo in rete. Non sono molti a fare impresa in Italia, per cui a maggior ragione vanno sostenuti», dice Zingale.

A partire da giugno, Samsic HR Italia ha dato il via a un percorso di accompagnamento completo, che va dalla presa in carico dell’utente alla valutazione del progetto imprenditoriale, fino alla formazione specifica, grazie all’accreditamento al Fondo Nazionale Microimpresa e alla collaborazione con la Fondazione Welfare Ambrosiano. «Guardiamo a chi vuole davvero fare impresa e lo accompagniamo durante tutto il percorso, facendo rete e sfruttando i vari strumenti disponibili a seconda delle diverse necessità della persona. Perché anche quella del piccolo ambulante, artigiano, commerciante è impresa, ma magari non a tutti potrà servire la formazione aggiuntiva offerta tramite il Fondo Nazionale Microcredito, oppure qualcuno potrà già avere il suo piccolo capitale da investire e quindi non necessiterà di usufruire della Fondazione Welfare Ambrosiano».

Al di là delle incertezze che gravano sulla ripresa, una tendenza che arriva da Oltreoceano sembra essere quella per cui la pandemia ha spinto tante persone, soprattutto giovani, a volersi rimettere in gioco. Il New York Times ha ribattezzato il fenomeno “Yolo economy”, l’economia del “si vive una volta sola”: molti, complice il virus, si sono riscoperti insoddisfatti e magari hanno deciso di lasciare un lavoro, anche stabile e ben retribuito, per inseguire le proprie aspirazioni personali. Progetti imprenditoriali compresi. «Malgrado l’economia e il welfare americani non siano comparabili con il sistema italiano, sarebbe auspicabile che questo avvenisse anche da noi. In questo momento abbiamo bisogno di tanta fantasia, sia dal punto di vista delle imprese già esistenti, sia da quello di chi vuole entrare nel mondo imprenditoriale», commenta Zingale.

È probabile, in effetti, che ci sia almeno una dose di fantasia fra gli elementi che hanno consentito alle aziende “giovani” per eccellenza, le startup, di prosperare anche durante la pandemia. Secondo un recente rapporto, infatti, il 70 per cento delle startup ha continuato ad assumere nel corso del 2020, e quattro aziende su cinque prevedono di aumentare il proprio organico nel prossimo futuro. Per continuare a sostenerle e nutrire il terreno che serve loro per prosperare, secondo Zingale un elemento centrale è e sempre più sarà la formazione. «Una formazione ad ampio spettro, non fine a se stessa, ma che segua il mercato del lavoro: elemento imprescindibile sia per chi vuole restare subordinato, sia per chi vuole fare impresa», precisa l’esperto.

Il tempo dei soli sussidi, insomma, sembra ormai essere finito, come ha indicato lo stesso governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. E come ribadisce da tempo la Commissione europea. Il segreto sarà fornire gli strumenti per creare nuovo lavoro e aiutare gli imprenditori (o aspiranti tali) a sorreggersi da soli.

«Ricordo che durante i lockdown i ristoratori non chiedevano sussidi a pioggia, ma di poter aprire per poter lavorare», dice Zingale. «Allo stesso modo, in Italia ora più che mai è necessario innovare la politica industriale e mettere a disposizione risorse e strumenti leggeri per permettere alle persone di avviare un’attività propria». Non si parla di risorse a fondo perduto, quanto piuttosto di detassazioni e sburocratizzazione. «Oggi, solo per svolgere tutte le pratiche amministrative per aprire un’attività occorrono sei mesi, mentre ci vorrebbe una settimana», ricorda Zingale. «Certe vecchie norme andrebbero abolite. Allo stesso modo, bisognerebbe sensibilizzare le banche per incentivarle a sostenere le imprese. No a risorse economiche a fondo perduto, dunque, e sì ad aiuti concreti. Solo così si rilancia l’economia».

Articolo originariamente pubblicato su Linkiesta.